La scuola dopo il Coronavirus: cambiare paradigma

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Dire che dopo il Coronavirus nulla sarà come prima sta diventando una convinzione diffusa a livello nazionale e internazionale, che trova declinazioni in numerosi settori: se ne parla in primo luogo in ambito sanitario da vari punti di vista (cura, ricerca scientifica, organizzazione dei servizi, prevenzione), e se ne discutono con crescente intensità le conseguenze in campo economico e sociale (calo della produzione e dei commerci, disoccupazione, povertà) e politico (competizione tra il modello liberaldemocratico e quelli autoritari, le democrature, i sovranismi).

È inevitabile, e sta avvenendo, che la riflessione sul ‘dopo’ si sviluppi anche nel campo delle scienze umane e sociali, dalla filosofia (dilemmi etici sul fine vita, sull’onda del dibattito di questi terribili giorni su chi salvare se si deve scegliere, ma anche sulla tracciabilità in rapporto alla libertà individuale) alla letteratura, che rivive in diretta le grandi epidemie delle quali avevano parlato autori come Boccaccio, Manzoni, Camus. Anche la pedagogia, intesa come scienza (o punto di incontro di una pluralità di scienze) che si occupa dell’educazione dei cittadini, già alle prese con le spinte di cambiamento derivanti dalla rivoluzione digitale in corso, non potrà ignorare le conseguenze, in termini di discontinuità, della imponente esperienza di homeschooling di massa provocata dalla diffusione della pandemia da Coronavirus.

Si può ipotizzare che la scuola futura, se i decisori politici decideranno di confermarne il ruolo istituzionale di principale agenzia educativa, sarà un insieme di tre tipi di attività che si svolgeranno in misura decrescente in presenza (in aula), e in misura crescente a distanza (flipped classroom) e in ambienti (laboratori) nei quali si farà cooperative learning e si impiegheranno le diverse tecnologie, oggi in fase sperimentale, che introducono nei processi di apprendimento elementi di realtà virtuale e aumentata.

La scuola della ‘quarta rivoluzione’, come la chiama Luciano Floridi, quella digitale, avrà il suo baricentro non nell’insegnante e nell’insegnamento ma nello studente e nell’apprendimento. Attenzione, non vuol dire che il ruolo dell’insegnante non sarà fondamentale. Forse lo sarà più di oggi, sarà il regista dei processi di apprendimento di ogni singolo studente.

Tutto ciò comporta un radicale cambiamento del paradigma, centrato non più sull’offerta (programmi e orari rigidi, standard uniformi di apprendimento e di valutazione, apparati organizzativi più o meno accentrati) ma sulla domanda (personalizzazione degli itinerari formativi, sviluppo delle soft skills, diversificazione degli stili e dei ritmi di apprendimento degli studenti a cura di scuole che agiscono in piena autonomia).